mercoledì 28 novembre 2007
Un libro roccioso
Percorse da sciami di inconsapevoli turisti e da alcuni innamorati scalatori. Tormentate da un clima impazzito che ne mina integrità e destino. Derubate di un maestoso ghiacciaio che continua a ritirarsi fino a quando non ce ne sarà più. Nonostante tutto, le Dolomiti sanno ancora parlare al cuore di chi vuole incontrare una montagna aspra ma generosa, crocevia di storie e di Storia e cuore di una piccola Europa armata di pedule e affamata di roccia. Qualcuna di queste storie le racconta Stefano Ardito nel suo Dolomiti. Giorni verticali (Versante Sud, 18 euro): una dopo l'altra, quarantatré “prime volte” sui Monti Pallidi. Dalla prima conquista documentata di una vetta (i 3.168 del Pelmo raggiunti dal dublinese John Ball il 19 settembre 1857) alla prima corda doppia della storia, figlia di un'intuizione della guida Angelo Dimai nel 1864. Fino alla recentissima prima arrampicata libera e solitaria lungo la via Attraverso il pesce della parete Sud della Marmolada: Hansjörg Auer, 23enne austriaco, ci mette la firma il 29 aprile di quest'anno. Storie tormentate, piene di cocciutaggine e con quel tanto di follia che permette gesta memorabili alla conquista di quella roccia desiderata come le belle forme di una ragazza speciale. Ed è importante voltarsi indietro e rileggerli, questi racconti, proprio ora che le Dolomiti stanno mostrando al mondo intero la propria debolezza. La pietra diventa polvere in diretta sulle webcam, come quando lo scorso 12 ottobre è crollata la Cima Una. Pezzo per pezzo, speriscono quelle che una volta erano le Alpi veneziane. Restano le gesta di centinaia di uomini e donne che da tutta Europa sono saliti lassù. Come Beatrice Tomasson, 48enne nata a Nottingham e cresciuta in Irlanda. Giunge nell'estate del 1900 al passo d'Ombretta. Testarda, decide che la Marmolada deve diventare sua. Ci metterà un anno: il 1° luglio 1901 tocca la vetta. Fine dell'avventura dolomitica, inizio della leggenda per “la Mata Hari dei monti”. Già, perché quella donna che pagava così bene le guide (troppo per la figlia di una famiglia dignitosa ma non ricca) e, contrariamente alla maggior parte degli scalatori, non aveva pubblicizzato la sua impresa, a detta di molti era nientemeno che una spia del Kaiser. Mandata lassù per verificare le condizioni della frontiera italo-austriaca, che pochi anni dopo sarebbe divenuta un aspro teatro di guerra.
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